In Val Lemme il piccolo Comune di Carrosio e le tappe del suo sviluppo economico

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Nella programmazione 2007/2013 il Comune di Carrosio nella provincia di Alessandria faceva parte del territorio del Gal Borba, con la nuova programmazione 2014/2020 è ufficialmente uscito dal Gal Borba (insieme ai comuni di Fraconalto, Parodi Ligure e Voltaggio) per entrare a far parte del Gal Giarolo. Ripercorriamo insieme le principali tappe del suo sviluppo economico a partire da una data significativa quella del 1746.

L’origine cronologica dell’attività industriale e dello sviluppo agricolo di Carrosio può essere idealmente posta nel 1746 quando questo centro abitato del basso Piemonte fu occupato dalle truppe ungheresi e germaniche del principe Piccolomini, al soldo degli austriaci durante la guerra contro Genova.

A partire da quell’anno, infatti, il paese visse un lungo periodo caratterizzato da prosperità e sviluppo.

I segni più evidenti di tale crescita furono non solo la costruzione di nuove abitazioni accanto al nucleo originario e l’incremento demografico ma anche il frazionamento dei terreni coltivati che, ad esclusione delle proprietà ecclesiastiche, caratterizzò in modo significativo la successiva vita agricola del paese.

Nello stesso periodo furono inoltre migliorate le tecniche di coltivazione, si diffusero rapidamente i vigneti (che andarono ad occupare i terreni incolti o destinati al pascolo degli animali) e fu intensificata la coltura sia del castagno (soprattutto nella media e bassa collina) sia, nei tratti pianeggianti lungo il fiume Lemme, del gelso.

La coltivazione del gelso merita una particolare attenzione in quanto fondamentale per l’allevamento dei bachi la cui seta, insieme ad una parte delle derrate, veniva venduta ai mercanti che transitavano per la valle.

Un crescente benessere, dovuto allo sviluppo del settore agricolo e all’apertura dell’economia del paese verso l’esterno, portò alla formazione di attività di tipo preindustriale.

Due sono i casi che si possono portare ad esempio: il primo è quello della conceria, il ricordo della cui presenza ormai permane solo nella denominazione del luogo in cui si svolgeva; il secondo è quello della fornace che riforniva di mattoni da costruzione il paese e i territori circostanti.

Agli inizi del XX secolo, escludendo naturalmente coloro che si erano trasferiti a Genova o che erano emigrati nell’America del Nord e del Sud (soprattutto in Argentina e Uruguay), Carrosio contava 909 abitanti.

L’insegnamento elementare, assicurato in un primo momento fino alla terza e successivamente fino alla quarta classe, aveva eliminato l’analfabetismo.

Un cambiamento importante, nella vita del paese, fu provocato anche dalla realizzazione dell’acquedotto che portava a Gavi l’acqua del Rolino: l’amministrazione comunale di Carrosio, infatti, aveva consentito l’attraversamento del proprio territorio in cambio della possibilità di utilizzare l’impianto per 99 anni.

La conseguenza più immediata, e più evidente, fu la costruzione di cinque fontane pubbliche che se da un lato permisero agli abitanti di usufruire dell’acqua potabile corrente, dall’altra portarono gradualmente alla scomparsa di numerosi pozzi e falde freatiche (che avevano rifornito il paese in precedenza) nonché alla progressiva perdita di importanza della cosiddetta fontana dell’aceto.

L’allevamento del baco da seta aveva raggiunto, nel frattempo, una diffusione significativa ed era quindi emersa la necessità di individuare uno sbocco alla produzione in grado di assicurare un maggiore margine di guadagno per gli abitanti del paese.

La dipendenza dai mercanti fu superata con l’apertura prima della Filanda di Voltaggio e in seguito, verso la fine del XIX secolo, del Filatoio di Carrosio.

Ubicato temporaneamente nell’ala occidentale del castello, il filatoio fu successivamente spostato nei capannoni sulla sponda sinistra del torrente (dove si ergevano ancora i ruderi del vecchio mulino) e risolse il problema dello smercio dei bozzoli poiché riuscì ad assorbire completamente la produzione locale. Distrutto da un incendio verso la fine del secolo, l’edificio fu successivamente venduto dal proprietario, Pasquale Quartino, ad una famiglia di industriali genovesi.

A causa dei rischi eccessivi legati all’estrema variabilità dei prezzi sul mercato, alle difficoltà tecniche della lavorazione e alle malattie del filugello, i nuovi proprietari decisero successivamente di abbandonare l’originaria produzione, convertendo i macchinari alla lavorazione prima del cotone e poi della juta. I capannoni furono ricostruiti seguendo una disposizione più razionale ed adeguata alle esigenze di lavorazione e l’introduzione dei telai permise di coprire l’intero processo di lavorazione, dalla materia prima fino al prodotto finale (tela e sacchi).

Fino alla Seconda Guerra Mondiale, lo stabilimento di Carrosio fu uno dei maggiori del settore in Italia. Nel dopoguerra tuttavia, a causa delle difficoltà di trasporto del prodotto e della mancanza di una linea ferroviaria in grado di collegare lo stabilimento ai maggiori centri di distribuzione, la sua importanza andò costantemente diminuendo.

Nel 1956, durante la prima crisi di Suez, l’impossibilità quasi assoluta di accedere ai mercati indiani e pakistani, principali fornitori della materia prima, aggravò questa crisi che peggiorò ulteriormente quando, nel 1971, un incendio distrusse il reparto saccheria. Nonostante queste difficoltà lo jutificio rimase comunque la principale risorsa industriale del paese tanto che il suo ricordo permane tuttora saldamente nella memoria degli abitanti del luogo.

 

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