I palmenti: manufatti rurali per la pigiatura e la fermentazione dei mosti

Dopo il suo articolo sulle volte in tubuli o “bubuli” l’architetto Maria Chiara Panza torna a parlare di manufatti rurali dell’Italia del sud con un interessante articolo sui palmenti utilizzati per la pigiatura dell’uva e la fermentazione dei mosti. 

Per dare maggiore valore al suo racconto la collega ha preferito anticipare l’articolo con questo video girato direttamente sul posto per farvi apprezzare – non solo attraverso immagini fotografiche – la bellezza di queste strutture sussidiarie pertinenziali al lavoro dell’uomo.


I palmenti: manufatti rurali per la pigiatura e la fermentazione dei mosti

“La cosa che amo di più delle architetture rurali è che si adattano al territorio: negli usi, nei costumi e in questo caso anche nelle sue colture”  (Maria Chiara Panza).

Il palmento è una costruzione tipica dell’Italia meridionale caratterizzata da una vasca larga e poco profonda con pareti di pietra, mattoni, calcestruzzo impermeabilizzato con materiali naturali o anche scavate nella roccia impermeabile, usata per la pigiatura e la fermentazione dei mosti.

Si tratta di manufatti spesso di piccole dimensioni nei quali però non manca la cura del dettaglio e del particolare.

La loro dislocazione sul territorio è variegata anche se piuttosto di frequente è possibile trovarli in prossimità delle grandi masserie.

A seconda della quantità di mosto che dovevano contenere potevano avere più di una cisterna: una per versare l’uva da schiacciare e l’altra per il mosto che doveva fermentare.

Il palmento di queste foto è realizzato interamente in tufo e risale al XIX secolo: si trova nel territorio della provincia di Bari al centro di un grande agro originariamente coltivato a vigna. I proprietari avevano così la possibilità di trasformare la materia prima direttamente sul posto in cui veniva raccolta.

Questi piccoli manufatti erano realizzati da maestranze locali particolarmente abili e con elementi architettonici di pregio come il piccolo oculo posto sopra la porta dell’ambiente coperto.

Accanto al primo ambiente con i muri perimetrali caratterizzati dalla presenza di un arco a sesto acuto e uno a tutto sesto, completamente aperto e voltato con una volta a crociera che ne interseca una a botte, si presenta un secondo ambiente che fungeva da  ricovero attrezzi per gli operai e per gli stessi proprietari.

La presenza della canna fumaria lascia intendere la presenza anche di un caminetto per l’inverno e i giorni più freddi e magari per poter cucinare qualcosa senza tornare al paese.

Oggi sulla copertura sono ancora visibili (oltre alla piccola canna fumaria) le tegole probabilmente non originali e alle spalle la caratteristica conformazione a scala che permetteva di ispezionare o utilizzare anche il solaio di copertura, oggi rimaneggiato e mancante nella parte centrale.

L’ambiente aperto presenta due botole nel pavimento – oggi coperte con porte abbandonate e tavolato vecchio – dalle quali si accedeva alle due cisterne sottostanti.

Nella prima cisterna si pigiava l’uva mentre nella seconda si faceva decantare il mosto che poi diventava vino direttamente nella pietra, in mezzo alla natura, nel luogo di origine…ecco forse cosa ispirò la famosa poesia di Carducci: ” (…) ma per le vie del borgo dal ribollir de’ tini, va l’aspro odor de i vini, l’anime a rallegrar (…)”.

 


 

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