L’Architetto che ama scrivere. Intervista ad Antonella Barbara Caldini

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Il primo appuntamento è con l’architetto Antonella Barbara Caldini, che abbiamo conosciuto agli inizi del duemila in occasione di un intervento di messa in sicurezza della Chiesa di San Vito a Morsasco, in provincia di Alessandria. Allora era una giovane alla prima esperienza, oggi è titolare dello Studio A.R.C. di Acqui Terme e si occupa di progettazione e restauro di edifici storici, ma non solo. Dal 2009 fa parte della redazione del trimestrale “Progetto Restauro” (Editrice il Prato) ed è autrice di un manuale architettonico contenente le linee guida per il recupero dell'edilizia rurale di trentanove comuni della provincia di Alessandria facenti parte del G.A.L. Borba. Blogger e ideatrice del portale restauroeconservazione.info specializzato sul restauro e conservazione dei beni storici e culturali.

Antonella, ben ritrovata. Di cosa si è occupata principalmente in questi anni?

Dal 2002, anno in cui ho aperto lo studio, ad oggi mi sono sempre occupata di restauro sia architettonico che artistico su immobili importanti sottoposti a tutela ma anche su edifici minori rappresentativi del costruito storico locale. L’esperienza accumulata mi ha spinto a prestare sempre molta attenzione alle fasi preliminari del restauro, pertanto alla fase diagnostica, dando la dovuta importanza al rilievo “in sito”, alle successive fasi di restituzione grafica del rilevato, predisponendo caso per caso gli abachi dei degradi per la definizione delle mappature degli stati conservativi, alla stratigrafia degli elevati e delle superfici di rivestimento per l’individuazione degli strati di intonaco e coloriture preesistenti e all’analisi dei quadri fessurativi per la valutazione strutturale dei manufatti. Alla conoscenza “in sito” ho sempre affiancato quella “in archivio” attraverso lo studio attento delle fonti documentarie che spesso forniscono informazioni importanti sulla storia del manufatto, guidando la redazione del progetto di restauro e portando alla definizione delle fasi di intervento.

Guardando alle sue attività potremmo definirla come una persona versatile con la passione per l’arte. Giusto?

La passione per l’arte è un’eredità di famiglia: mio padre è stato preside di un istituto d’arte ed è uno scultore, mentre mia madre è un’affermata pittrice e titolare di una galleria d’arte. Ho sempre avuto un’innata propensione per le cose belle e soprattutto per le cose antiche. Per questo ho deciso di specializzarmi in restauro dei monumenti e di aprire uno studio tecnico ad Acqui Terme, che si occupasse principalmente di restauro e recupero edilizio. All’attività di studio ho sempre affiancato poi la mia passione per la scrittura, che mi ha portato a pubblicare in opere miscellanee, riviste di settore e sul web.

 

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Lei fa anche consulenza alle aziende che vogliono partecipare alle gare d’appalto nel settore del restauro. Com’è la situazione?

In un cantiere di restauro, specie quando pubblico, il professionista (progettista e/o direttore dei lavori) non si interfaccia soltanto con la Committenza, con i funzionari delle Soprintendenze preposti alla tutela del bene e con le imprese ma soprattutto con la tempistica rigorosa dell’appalto e con le logiche burocratiche ed economiche.

Il cantiere funziona solo se tra tutti i soggetti coinvolti si raggiunge la completa armonia il cui obiettivo comune è la buona riuscita del restauro ma non è sempre così. Ad esempio, occupandomi prevalentemente di restauro di beni culturali privati, mi è capitato di fare richiesta di contributo ex artt.35-37 D.Lgs.42/2004. Si tratta di contributi specifici rivolti ai possessori di beni vincolati che decidono di avviare interventi di recupero. Da alcuni anni, purtroppo, il MiBACT ha interrotto la concessione dei contributi in attesa di liquidare le istanze ancora rimaste in sospeso. Nel mio caso specifico questo blocco dei contributi ha avuto un risvolto negativo perché ha frenato coloro che avevano in mente di avviare un restauro con la speranza di un ritorno in termini economici (e a fondo perduto) anche su lungo periodo, convincendoli che “l’abbandono del bene” sia comunque preferibile alle problematiche legate ad un restauro costoso e costantemente vigilato. Ciò a discapito della conservazione e tutela dei tanti beni privati che versano, anche per queste ragioni, in stato di abbandono.

Tutela del passato e moderne esigenze estetiche e funzionali. In un progetto di restauro come si conciliano l'uno con l'altro questi concetti?

Il tema del “riuso” legato al restauro è sempre attuale e mi vede fedele fautrice della conservazione associata alle nuove esigenze funzionali e tecnologiche. Al riguardo, nel 2010 ho ricevuto l’incarico di restaurare un’antica torre daziaria medievale abbandonata, dandole una nuova destinazione abitativa. Ebbene, il progetto di restauro prevedeva il consolidamento della scatola muraria molto indebolita negli anni. Per questa ragione, di concerto con un esperto strutturista sensibile al tema del recupero, abbiamo previsto la realizzazione di una nuova struttura autoportante in acciaio con funzione di consolidamento della muratura esistente caratterizzata da solai in acciaio e legno isolati acusticamente. Questa scelta tentava di conciliare le primarie richieste della proprietà di conservare anzitutto l’immagine storica della torre adattandole all’esigenza di renderla un’abitazione confortevole sul piano abitativo e funzionale alle necessità del vivere quotidiano.

 

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Quali sono le tendenze e i materiali per il quale prevede uno sviluppo maggiore in futuro?

Oggi il settore del restauro è uno dei più gettonati, le ditte che forniscono materiali per il restauro sono sempre più numerose. Molte di esse poi, nate come leader nel settore civile, adesso si sono convertite al restauro e fanno grandi operazioni di marketing promozionale. Ma io non amo quelle soluzioni che mi vengono presentate come la panacea a tutti i mali.

E a che cosa presta maggiormente attenzione?

In un cantiere di restauro l’intonaco è, ovviamente dopo la struttura, una delle prime cose da tutelare.  L’intonaco va analizzato, indagato sul piano chimico, confrontato perché può dare molte informazioni sulla storia del manufatto e poi va il più possibile conservato. Eppure tutte le volte che vengo contattata da un privato che vuole conservare i suoi vecchi intonaci trovo sempre un impresario pronto a proporre la demolizione per il rifacimento ex novoIo amo i vecchi intonaci di calce, di vera calce e penso che tramite iniezioni di consolidamento puntuale si possa conservare il vecchio intonaco e “ricucirlo”, legandolo al nuovo realizzato con la medesima componente materica e petrografica, mi è capitato di farlo molte volte con piena soddisfazione dei miei clienti. Anche alcuni materiali per il consolidamento strutturale sono molti ma non tutti hanno proprietà per così dire “conservative”. Quando nel 2002, proprio in occasione del consolidamento antisismico dell’abside della Chiesa a di San Vito a Morsasco, proposi l’uso delle fibre di carbonio mi scontrai con molte perplessità da parte della Committenza che riteneva l’intervento costoso ed inutile. Eppure, a distanza di anni però quell’intervento si è dimostrato efficace (ed anzi altre parti della pieve necessiterebbero di un intervento similare).

Ha un sogno nel cassetto o una particolare obiettivo per il futuro?

Si, come tutti credo di averne uno anche io ed è legato in qualche modo al manuale architettonico che ho realizzato nel 2012 per il G.AL. Borba.

La sua redazione ha richiesto oltre un anno di censimento del territorio con archiviazione dati e raccolta di immagini fotografiche relative a cascine, manufatti agricoli, piccoli edifici religiosi e casotti di campagna bisognosi di conservazione.

Ebbene, il mio sogno è quello di avere l’opportunità di dedicarmi al recupero dell’edilizia rurale applicando gli insegnamenti del manuale, partendo dal consolidamento della struttura per arrivare alla conservazione dei singoli elementi architettonici che compongono il manufatto, prestando la stessa attenzione e passione che ho sempre rivolto ai beni culturali “cosiddetti maggiori” anche ai manufatti “cosiddetti minori”.


 

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