Quale destino per l’enorme patrimonio immobiliare ecclesiastico italiano?

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Il lungo cantiere di restauro che ho recentemente ultimato della ex Chiesa Parrocchiale di San Pietro nel comune alessandrino di Felizzano è stato un'importante esperienza professionale: per la sua durata temporale dal 2014 al 2019, per gli importanti ritrovamenti che ne sono derivati dall'antica pavimentazione in cotto cinquecentesca ai tre altari settecenteschi e, infine, perchè ha beneficiato per ben due volte dei contributi della CEI per i beni culturali ecclesiastici.

Questa esperienza mi ha spinto a fare alcune valutazioni sull'enorme patrimonio immobiliare ecclesiastico presente nel nostro Paese che non è rappresentato unicamente dagli edifici religiosiluoghi di culto tradizionali, ma anche dalle innumerevoli case parrocchiali, istituti religiosi, oratori, monasteri, conventi, case di riposo, asili, scuole, Università…


Ho recentemente ricevuto in omaggio l'interessante rivista "Chiesa Oggi" fondata a Milano nel 1992 da Giuseppe Maria Jonghi Lavarini, Gjilla Giani e S. Em. Francesco Marchisano. Nel numero 111/2019 ho avuto modo di leggere un bell'articolo dal titolo La "Santa" Impresa scritto da Giovanni Campagnoli Roberto Tognetti.

L'articolo oltre a focalizzare l'attuale situazione del patrimonio culturale ecclesiastico evidenzia la necessità di valorizzare i beni di culto dismessi, sottolinenando la reale difficoltà della comunità clericale di gestire i processi di "riuso" dai quali potrebbero derivare nuove ed interessanti opportunità.

Il riuso di questi spazi potrebbe avere come obiettivo quello di farli diventare "luoghi di comunità" rivolti ai giovani nei quali condividere progetti, attività e iniziative culturali. Se si pensa al ruolo storico degli Oratori si comprende da subito quali potenzialità potrebbero derivare dal riutilizzo di questi spazi da intendere come contenitori di aggregazione di generazioni alla continua ricerca di una vera identità sociale.

Nel mondo del digitale, della condivisione (spesso sbagliata) via Social, l'ipotesi di sostenere progetti di recupero tesi alla valorizzazione di sane attività sociali potrebbe rivelarsi un'arma vincente nella quale unire le due istanze del restauro e del riuso.

Ma su quali fondi si dovrebbe fare affidamento?

Gli autori dell'articolo propongono la "formula di impresa" nella quale coinvolgere più attori e non ultime mirate Campagne di crowdfunding. Certamente un proposito saggio e lungimirante che come Restauro e Conservazione non possiamo che sostenere.


 

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